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domenica 17 luglio 2022

Recensione: Luce bianca di Simone Olla [Rating 8] - recensione a cura di Peg Fly

 



Opera: Luce Bianca 

Autore: Simone Olla

Editore: CATARTICA EDIZIONI

Genere: Narrativa contemporanea

Collana: In Quiete

Prezzo: 12.35 €

Rating: 8

Sinossi: 

Ambientato tra Torino e Cagliari, “Luce bianca” narra le vicende legate ad un progetto di evoluzione sociale, il Progetto Manuelli. Il protagonista, assieme ad altri bambini tra gli otto e i dodici anni cresciuti come lui nell’Istituto sede della sperimentazione, viene sottoposto a sterilizzazione forzata in quanto potenzialmente pericoloso per la società. A diciannove anni lascia l’Istituto Manuelli e finalmente inizia una nuova vita, ma il trauma subìto ritorna in sogno la notte, obbligandolo a venire a patti con quanto accaduto.


Recensione:

Il romanzo breve (95 pag. circa) inizia con un Prologo in cui gli occhi del lettore scorrono senza rimpianti, per la poesia che ogni frase sottende.

Il protagonista ha otto anni nella sala operatoria dell’Istituto Manuelli viene sterilizzato. (Con sterilizzazione obbligatoria, conosciuta anche come sterilizzazione forzata, si intendono i programmi attuati da politiche governative che tentano di costringere le persone a sottoporsi all'intervento chirurgico di sterilizzazione.)

Ma riuscite a immaginarvi, che un bel giorno, a soli otto anni ti svegli e ti ritrovi a essere sterilizzato senza il tuo consenso? La sterilizzazione obbligatoria o forzata è la soppressione premeditata ed irreversibile della fertilità di un individuo. La pratica ha avuto inizio nel Novecento negli Stati Uniti e successivamente nella Germania nazista. Teoria figlia dei suoi tempi e degli esperimenti di eugenetica, era questa la pratica volta ad impedire la riproduzione dei membri della popolazione considerati portatori di difetti genetici o ritenuti tali. Una delle scusanti per autorizzare la sterilizzazione era che venisse utilizzata anche come una forma terapeutica per chi possedeva dei tratti sessuali considerati patologici, risultando punitiva per i criminali. (In America questa pratica si protrasse nelle carceri fin nel 2014) 

A otto o dodici anni sei pericoloso? Per chi? L’autore, Simone Olla, riesce a intrecciare una trama che sin dall’incipit conducono il lettore in una dimensione parossistica, esasperata, dentro la quale un progetto inaccettabile per la società di oggi, si conducono esperimenti medico/sociali su bambini tra gli otto e i dodici anni perché ritenuti socialmente pericolosi nonché per la propria persona. 

Il protagonista a diciannove anni esce dall’Istituto, ma non è più l’uomo che avrebbe potuto essere, poiché là dentro gli hanno tolto tutto, per fino di procreare. Gli hanno tolto sogni, futuro e anche la vita stessa, perché lui una vita non ce l’ha più. Vive sotto il cavalcavia con il suo cane, Bebert. Il protagonista non ha mai domandato al suo amico Nitti, perché suo padre lo aveva rinchiuso lì dentro dopo la morte di sua madre. E nemmeno Nitti glielo domanda mai... (Altro personaggio amabile al quale il protagonista è affezionato.) 

A otto anni si abusa di lui, sotto la “Luce Bianca” che acceca gli occhi grandi di un bambino. Sente le mani dappertutto nel suo tenero e piccolo corpicino. Poi l’ago che s’infila nel braccio e il bisturi e la carne che si lacera... Non è più un uomo, non può mai più provare la gioia di essere padre. Di sorridere, di accogliere tra le braccia aperte un figlio suo. È sterile, a otto anni. E mentre scrivo questa recensione, ho il singulto che mi muore in gola. E piango, e sono sola qui, davanti al mio PC e cerco di concentrarmi su cosa dire, ma l’autore ha già detto tutto, con parole semplici ma che lasciano il segno, che scuotono, che fanno riflettere su ciò che è stato il passato di una società razzista e discriminante. E le scene si susseguono sotto i nostri occhi increduli, come i dialoghi ben impostati, come i personaggi ben delineati, sotto il cielo di melodie dell’anima, dove a volte il dolore tace a volte sussurra a volte urla per sentirsi amati, per essere amati, essere liberi di decidere cosa farne della propria vita.  La scrittura in media res fa pensare subito al grande schermo. A un film direi in bianco e nero... E grazie a «Tāj Maḥal.» 

«E cos’è?»  «La cattedrale dell’amore!» 

«Sì.» Replico introducendomi tra il dialogo dei protagonisti.

Voto: otto 

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