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Titolo: Vita di Paese
Autore: Maria Caterina Basile
Editore: Nulla Die
Collana: Lego parva res. I romanzi Nulla die
Formato: cartaceo
Genere: romanzo di formazione
Prezzo: 8.50 €
Sinossi:
È possibile fare ritorno in una terra-miraggio, rimasta nell'attesa di un futuro che pare non compiersi mai e trovare finalmente se stessi?
Damiano Pellegrino, trentacinquenne simbolo di una generazione in viaggio, ci prova, affrontando e vincendo una difficile sfida.
Recensione:
Ho sempre invidiato ai poeti la capacità di pennellare con pochi tocchi decisi le emozioni umane usando i colori della loro tavolozza, una faccenda che invece noi scrittori riusciamo, non sempre, a risolvere trafficando con pagine e pagine.
Leggere “Vita di Paese” ha confermato questa mia invidia: Maria Caterina Basile nasce poeta - detesto le femminilizzazioni in “essa”, quando ci penso la prima parola che mi viene sempre in mente è l’orribile “pitonessa” - e tale rimane anche nel breve romanzo edito da Nulla Die. Infatti l’ho letto come un’antologia di versi sciolti, incurante della trama (scontata) e incantata invece dall’incisività armonica delle immagini.
Non importa tanto se il paese in cui il protagonista ritorna dopo una lunga assenza si chiama Miraggio (eppure santocielo, vien da chiedersi, ma un pochino di fantasia in più no, eh?), importa che fin dalle prime pagine si è catturati dalla musicalità e dall’immediatezza della rappresentazione - “… la vita soffia, sbuffa, sospira…”, “… me ne sto appoggiato al muro dei ricordi, simile a un ramo secco in attesa del vento che lo spazzerà via…” - e accompagnati con mano sicura in qualche trepidante e giovanile riverbero di melanconie leopardiane: in tenera età magari ci ribellavamo all’obbligo di imparare a memoria “Il sabato del villaggio” ma sotto sotto, in certi momenti, nessuno meglio del poeta di Recanati sapeva capirci.
Il ritorno a Miraggio di Damiano Pellegrino (ancora voluta banalità?) sembra sconfitta e rinuncia, invece si trasforma in riscatto e reinvenzione di una vita altrimenti destinata all’autocommiserazione, covata sotto la cenere di una colpa inesistente inventata come alibi per la fuga; l’intervento salvifico del vecchio professore d’italiano, una sorta di paziente Mentore, custode dell’innocenza e delle illusioni adolescenziali; il riaffiorare di un amore giovanile rimasto cristallizzato nel tempo e finalmente pronto a diventare adulto; l’orgogliosa desolazione di un Salento stupendo eppure abbandonato per inseguire sogni di gloria; il riappropriarsi, infine, di una vita limpida che si era distorta nei riflessi di specchi deformanti e illusori… Tutti elementi ordinari ma trasformati da Basile in poetica a tratti serrata e mai compiaciuta o compiacente verso se stessa con una ondulata sequenza di suoni e varianze.
Un poemetto, insomma, che mi sento di definire tale nel senso stretto del termine letterario anche se scritto in prosa, dove si intravvedono lampi di ammirazione per artisti come Kerouac e omaggi a Luzi, Zanotto.
Quasi verso la fine, l’autrice di origine tarantina affida alla voce del protagonista la sua dichiarazione d’intenti: “… Le parole delle poesie sono intime, personali, sono solo per noi stessi; diversa è la prosa che tende la mano a lettori sicuri di sé…”. A questi ultimi decidere se ha ragione mentre, mi auguro, si delizieranno con le intense immagini evocate da Basile. Che poeta è e, secondo me, tale deve restare senza avventurarsi in campi che potrebbero rivelarsi per lei infidi.
Edizione come sempre curata e nota finale dell’editore che invoglia e gratifica chi investe soldi in un libro.
Rating: 7.
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