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SINOSSI:
Per trent'anni l'Area X - un territorio dove un fenomeno in costante espansione e dall'origine sconosciuta altera le leggi fisiche, trasforma gli animali, le piante, sembra manipolare lo stesso scorrere del tempo - è rimasta tagliata fuori dal resto del mondo. La Southern Reach, l'agenzia governativa incaricata di indagarne gli enigmi e nasconderla all'opinione pubblica, ha inviato numerose missioni esplorative. Nessuna però è mai tornata davvero dall'Area X: chi, inspiegabilmente, ricompariva al di qua del confine era condannato a un destino peggiore della morte.Questa volta, però, sarà diverso: la dodicesima missione è composta unicamente da donne.Quattro donne che non conoscono nulla l'una dell'altra, nemmeno il nome - sono indicate con la funzione che svolgono: l'antropologa, la topografa, la psicologa e la biologa - accettano di partecipare a un viaggio che assomiglia molto a un suicidio. Cosa le ha spinte a imbarcarsi in una missione tanto pericolosa? La biologa spera di ritrovare il marito, uno dei membri dispersi della spedizione precedente. Ma forse cerca anche di fuggire dai suoi fantasmi. E le altre? Cosa nasconde la psicologa, ambigua leader del gruppo? Quando le quattro esploratrici incappano in una strana costruzione mai segnalata da nessuna mappa, capiranno che fino a quel momento i disturbanti misteri dell'Area X erano stati appena sfiorati.Jeff VanderMeer ha costruito un mondo in cui l'avventura, il fantastico, l'ignoto sono le coordinate per indagare il più alieno dei pianeti: la psiche umana.
RECENSIONE:
Ho deciso di leggere la Trilogia dell'Area X dopo aver visto l'adattamento del primo libro, per la regia di Alex Garland. La mia speranza era che il libro avrebbe chiarito i dubbi lasciati dalla visione, ma così non è stato; anzi, se non avessi visto prima il film, credo che non avrei retto alla confusione e sarei stata tentata di abbandonare la lettura dopo le prime pagine. La sceneggiatura di Garland ha arricchito la trama, forse anche in modi superflui (come la relazione della protagonista con il collega), però è indubbio che abbia ravvivato un ritmo che nel romanzo è veramente troppo lento e monotono.
Fin dalla prima riga, il lettore si ritrova catapultato nella misteriosa Area X; tutti i dettagli sulla natura dell'ambiente stesso, le spiegazioni, la storia delle spedizioni e l'antefatto che spinge la protagonista a partecipare a una di esse (elementi che nel film vengono proposti prima dell'ingresso vero e proprio), sono sparpagliati per tutta la lunghezza del romanzo, sotto forma di flashback nel diario della protagonista stessa. Per questo dico che, se non avessi già ricevuto le informazioni dal film, accompagnate da un'immagine ben precisa dell'aspetto dell'Area X, la prima parte sarebbe stata un enorme punto interrogativo.
Forse una narrazione lineare, con i fatti presentati in ordine cronologico, sarebbe stata più efficace e avrebbe facilitato la lettura.
Il romanzo, come ho detto, non è altro che il diario della protagonista, redatto, come lei stessa afferma nelle ultime pagine, al termine della spedizione; dovrebbe essere un resoconto della missione, ma di fatto si concentra sostanzialmente sull'esplorazione di due luoghi dell'Area X: la Torre e il Faro (la prima assente nella trasposizione cinematografica). Per quanto entrambi questi ambienti offrano rivelazioni interessanti, sono rimasta un po' delusa nel constatare che la maggior parte degli avvenimenti visti nel film esiste, appunto, solo nel film. Potrei dire che la sceneggiatura mi è parsa più creativa del romanzo, e certamente più abile nel creare tensione e qualche brivido.
Lo stile della protagonista – o, per meglio dire, quello dell'autore – rende tutto piuttosto monotono, quasi estenuante; i tempi si dilatano, come se l'azione si svolgesse al rallentatore. In più, l'autore ha deciso di adottare un espediente narrativo ricorrente a dir poco fastidioso, almeno per me: ogni volta che il lettore si trova di fronte a un climax, o a uno dei pochi colpi di scena, la narrazione si interrompe bruscamente, per riprendere solo dopo un lunghissimo intermezzo in cui la protagonista ricorda qualcosa del suo passato o si perde in riflessioni di varia natura. È una scelta stilistica non casuale, certo, ma a mio parere due facciate di divagazioni piazzate proprio quando finalmente le cose iniziano a farsi interessanti uccidono il ritmo e finiscono per esasperare il lettore.
Altro elemento che mi ha fatto storcere il naso è l'eccessiva spersonalizzazione dei personaggi. La protagonista, alias “la biologa”, è l'unica sul cui conto scopriamo qualcosa nel corso della lettura e, in quanto voce narrante, la cosa non stupisce, anche per merito delle frequenti parentesi di riflessione a cui ho già accennato. Delle altre tre donne della spedizione – la topografa, l'antropologa e la psicologa – non si sa nulla, né dal punto di vista caratteriale, né della storia personale, e il loro contributo all'azione si esaurisce, in alcuni casi, in uno schiocco di dita. Solo alla psicologa sembra essere stato assegnato il ruolo di antagonista (anche se classificarlo così è sicuramente un azzardo), ma pur provando una naturale diffidenza nei suoi confronti, certamente alimentata dalle sensazioni della biologa, non si riesce mai a considerarla una vera e propria figura minacciosa.
Mi aspettavo tutt'altro da questa lettura, ma devo comunque riconoscere a Vandermeer una dose non indifferente di originalità, merce rara e preziosa al giorno d'oggi, che mi spinge ad alzare un tantino il voto finale.
La mia curiosità in merito al mistero dell'Area X è ben lungi dall'essere saziata e spero che i prossimi volumi della trilogia riescano lì dove questo esordio ha fallito.
Voto 6,5
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