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domenica 12 aprile 2020

Recensione: Gli Erranti – Il risveglio dei Cantori di Giuseppe Finocchiaro [Rating 7] - recensione a cura di Dada Montarolo

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Titolo: Gli Erranti – Il risveglio dei Cantori

Autore: Giuseppe G. Finocchiaro

Editore: Independently published

Genere: Fantasy

Prezzo: Euro 3,99 ebook; Euro 9,99 copertina flessibile

Sinossi:
La Volontà permea ogni cosa e grazie ad essa gli Erranti sono in grado di manipolare, plasmare e distruggere la materia. Zanather Istral, agente di città d’Onice, parte insieme ai suoi compagni per indagare sulle sorti della Sequoia, la gigantesca città albero, di cui non si hanno più notizie da giorni. Quello che all’apparenza potrebbe sembrare un incarico di routine, si rivela una missione piena di pericoli e insidie imprevedibile per la salvezza dell’umanità stessa. Cosa sono quelle creature sorte dal nulla e che sembrano guidate esclusivamente dalla sete omicida verso gli esseri umani? Ed i Cantori, i primi esseri che hanno plasmato il mondo stesso, sono davvero scomparsi?

Recensione: 
“L’Ordine è bellezza, simmetria ma è nel Caos che vi è la vita. L’equilibrio deve essere mantenuto” dice uno dei personaggi del romanzo. E da qui credo si debba partire per comprendere questo lavoro, per stessa dichiarazione dell’autore, forgiato nella ricerca di strade nuove e poco ortodosse per narrare il fantasy, inteso come cartina di tornasole delle oscurità e degli splendori che ci portiamo dentro. 
Intento ambizioso e in buona a parte riuscito, soprattutto per il lettore che cerca livelli diversi di narrazione e alternativi agli schemi consueti. Nessun eroe/eroina, nessun “guardiano della soglia”, addirittura nessun archetipo: solo (si fa per dire) un gruppetto di combattenti dotati di poteri particolari, alle prese con l’arduo compito di scoprire e gestire le cause che hanno distorto la Volontà, finora suprema moderatrice delle sorti di ogni mondo e di ogni essere umano. 
Zanather Istral, Wodi e i loro compagni affrontano prove estenuanti, attraversano paesi magici, sfidano mostri che sembrano rigurgiti di coscienze stritolate e ci si aspetterebbe che tutto questo li faccia crescere, migliorare rivelando la loro forza nascosta secondo i canoni classici della letteratura fantastica. E invece no, rimangono prigionieri delle loro illusioni e degli errori commessi costringendo lo spettatore - eh sì, certi scenari, certe descrizioni sono di una vividezza e coloritura cinematografiche - a inseguirli con il fiato sospeso mentre affrontano le materializzazioni più violente degli elementi cosmogonici (fuoco, acqua, aria, terra) e a sperare che trovino una via salvifica per se stessi e per coloro che soccorrono. Ma sarebbe un finale fin troppo banale e così lo scrittore catanese apre davanti a loro altre porte, altri labirinti, li pone di fronte ad altri abissi in un gioco estenuante di sfide, ricordi, percezioni, illusioni. 
Tanto fantasmagorico susseguirsi di situazioni estreme rischia di diventare stucchevole, eppure Finocchiaro, con qualche abile colpo di reni narrativo, riporta il lettore/spettatore, per così dire, con i piedi per terra: come non collegare i Cantori, coloro che vogliono ripristinare l’equilibrio fra Ordine e Caos, alle antiche tradizioni degli aborigeni australiani, quelle raccontate da B. Chatwin in “Le vie dei Canti”? Come non percepire, nella descrizione della sterminata biblioteca di Boradia, il profumo assorto che si respira, per esempio, in quella del Trinity College di Dublino? E che dire della sottile angoscia esistenziale depositata su ogni emozione, metà sfida, metà rassegnata consapevolezza di un destino difficile, specchio contemporaneo delle nostre incertezze, soprattutto in questi periodi?
Il romanzo finisce sfumandosi in una sorta di “fascino dell’incompiuta” lanciato verso nuove prospettive con un piccolo colpo di scena che mi auguro non diventi, nel prossimo capitolo, un deus ex machina. Sarebbe una delusione pressoché insopportabile, vista la qualità dell’esordio.
A voler essere ipercritici, qualche flashback risulta un pochino faticoso, un pochino attorcigliato su se stesso e rischia di rallentare la tensione fino a quel punto creata così bene. Qualche refuso e qualche dimenticanza ortografica occhieggiano qua e là ma la scrittura è stata tanta e da un’autoproduzione non si deve pretendere l’impretendibile. 
Voto: 7.

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