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mercoledì 3 aprile 2019

Recensione: Le città della notte rossa di William Burroughs


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Sinossi:
"Nulla è vero. Tutto è permesso". In questa frase è riassunta la poetica del romanzo. "Le città della notte rossa" è la storia di un pirata del XVIII secolo, il Capitano Mission, fervente sostenitore della libertà e dell'uguaglianza, nonché acerrimo nemico di ogni forma di tortura e schiavitù. Basandosi su questi principi egli creò in Madagascar una colonia a cui diede il nome di Libertaria, che ben presto però venne spazzata via insieme al suo fondatore. Ma cosa sarebbe accaduto se Mission fosse sopravvissuto insieme alla sua utopica Libertaria? Da questa suggestiva ipotesi prende vita uno dei capolavori della produzione di Burroughs, un romanzo nel quale si avvicendano creature che provengono sia dal mondo reale che da quello fantastico o fantascientifico e che tracciano una nuova storia a partire dal XVII secolo per approdare a un futuro non remoto. 


Recensione:
Oggi parliamo del romanzo Le città della notte rossa di William Burroughs. Si tratta di un’opera particolare, così come doveva essere un personaggio del tutto bizzarro l’autore. Burroughs infatti fa parte di quella schiera di figuri aderenti alla corrente della Chaos Magick, una sorta di via iniziatica del tutto particolare e volta a rompere tutti gli schemi classici dell’occulto contemporaneo.
Che dire, la vicenda narrata è bizzarra e non si può certo affermare sia esente dallo scombussolamento portato dallo spirare furioso dei venti caotici che Burroughs non tenta minimamente di imbrigliare per dare una forma canonica al suo scritto. 
Tutto origina da un fatto storico reinterpretato. Il capitano Mission, un pirata degli inizi del XVIII secolo, fonda una colonia in Madagascar nella quale promuove la libertà a tutto tondo, introducendo innovazioni legislative all’epoca impensabili. 
La creatura di Mission prospera per alcuni anni, ma tutto finisce in un bagno di sangue ad opera degli indigeni. 
Burroughs parte da questo fatto, immaginando invece che la colonia sia stata il seme dal quale farne sbocciare altre, il nucleo centrale dal quale far sorgere una nuova umanità capace di opporsi agli spagnoli prima, all’evoluzione/involuzione stessa del mondo poi.  
Che dire, l’autore lo fa trasportandoci in un mondo i cui confini spazio/temporali sono a dir poco sbiaditi, nel quale le vicende del protagonista sfumano fra sogno e realtà, fra overdosi di sesso omosessuale e consumo di droghe reali e immaginarie capaci di frastornare il lettore, eppure di attrarne l’attenzione. Un viaggio attraverso le sei città della notte rossa, città immaginarie e dai connotati più mentali che fisici, pervase da ogni sorta di eccesso e fascinazioni.
Burroughs ha doti da grande scrittore, immaginazione da vendere e una passione sfrenata per quello che vuole trasmettere, più o meno esplicitamente. Il suo è un testo capace di parlare al subconscio. I suoi viaggi sono onirici e potenti, carichi di simboli e insegnamenti. 
“Nulla è vero. Tutto è permesso” è il suo motto, ma ritengo che anche un bel “nulla è casuale” nell’architettura studiata dall’autore con il procedere della vicenda che si fa, di pagina in pagina, più inquietante. 
Non posso nascondere di essere stato piuttosto infastidito dalla continua, martellante presenza di scene omosessuali e di ragazzoni e ragazzini con immancabili erezioni e dalla contemporanea quasi totale assenza di donne nel mondo immaginato dall’autore, ma non per questo posso esimermi dal riconoscere che siamo innanzi a un lavoro capace di lasciare il segno, alla faccia delle moderne teorie sullo scriver semplice per forza.

Vivamente consigliato.

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