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Autore: Jessica Imhof
Editore: Genesis Publishing
Formato: EPUB e cartaceo
Genere: Fantasy
Prezzo: Euro 3,99 ebook, Euro 11,08 copertina flessibile
Sinossi:
“La Luna sta per sorgere!”
“Per millenni, giorno dopo giorno, la debole luce della Luna veniva oscurata dal Sole. Finché un giorno, poco prima dell’alba, la Luna invasa dalla tristezza per aver passato anni all’oscurità dell’astro, pianse, ma accadde una cosa che la Luna non aveva previsto. Una lacrima cadde sulla terra e si trasformò in cristallo, una gemma che aveva l’energia e l’anima della Luna”.
Questa è la storia che viene raccontata a Kris, un giovane ragazzo di ventidue anni molto curioso e intraprendente, il giorno in cui riceve l’eredità di famiglia. La lacrima caduta sulla terra, il Cristallo della Luna, passato da madre in figlia e da padre in figlio fino a lui. Generazioni trascorse nell’attesa dell’Erede designato, nell’attesa del figlio in grado di legarsi al Cristallo e attingere al potere della Luna.
Kris scoprirà la meraviglia per una nuova sconvolgente realtà piena di potere e magia. Si intreccerà con persone che lo aiuteranno a crescere e ad affrontare la perdita, la frustrazione e la vergogna. Riuscirà Kris a maneggiare forze a lui sconosciute? Ed essere un degno Erede della Luna?
Recensione:
Conosco molto poco dell’autrice, Jessica Imhof: viene da una famiglia di agricoltori svizzeri, ha studiato ingegneria e soggiornato per un po’ in Australia e poi a Londra, si è fatta le ossa letterarie scrivendo fan fiction e ci ha messo un sacco di tempo a scrivere questo suo primo libro. Tutte notizie costate un certo impegno di ricerca - non ce ne sono in giro molte, di notizie su di lei, com’è normale per un’esordiente - e che mi hanno però aiutato a interpretare il suo lavoro. Eh sì, perché “Il Cristallo della Luna” merita un’attenzione speciale. Spiego: al di là della trama fantasy, costruita bene, con i dovuti sussulti, pathos in abbondanza e i necessari stereotipi gestiti con elegante disinvoltura (il vecchio saggio Ataire, un’antipatia iniziale diventata poi amicizia, la perdita dell’amore perfetto per Nymëa e, ovvio, la crescita morale e spirituale di Kris, il protagonista) c’era qualcosa che mi incuriosiva e che non riuscivo, all’inizio della lettura, a inquadrare. Penso, alla fine, di esserci riuscita: forse l’autrice stessa non si è neanche resa conto ma ha mescolato echi lontani di saghe silvestri - le alpi svizzere ne sono una grande e quasi sconosciuta biblioteca - con accenni di autoanalisi, riverberi di leggende celtiche con paurose figure antropomorfe che sembrano sgusciate fuori da fiabe russe. E forse, chissà, il periodo trascorso in quella parte di Oceania l’ha pure felicemente contagiata lasciandole nell’inconscio il ricordo di quanto ha sentito o magari visto in quella terra antica e misteriosa, quasi seguendo le tracce di Chatwin e le sue Vie dei Canti. Il risultato è un racconto suggestivo che indulge al sogno senza mai essere stucchevole, pronto per un eventuale, sperabile sequel in cui il protagonista, ormai davvero adulto, affronta nuove avventure.
La narrazione scorre con una certa agilità, solo appena interrotta da piccole e per fortuna rare esitazioni, quasi si temesse di non esser abbastanza precisi ma sono incertezze che con la pratica di solito vengono corrette. I personaggi sono ben caratterizzati e coerenti con la storia: forse proprio solo il protagonista è un pochino sopra le righe nelle reazioni che qua e là rasentano un isterismo stridente con la sua evoluzione. Certo, Imhof deve ancora superare altri scogli ma in un’opera prima sono più che tollerabili: qualche affanno di troppo nel descrivere i luoghi, certi improbabili dialoghi (qual è il ragazzo che dice oggi “… se non calcoli molteplici ematomi…” parlando con gli amici dei suoi lividi?), ripetizioni e un paio di leziosità letterarie (“… mise la mano dando modo ai suoi occhi…”) più, secondo me, dettate dall’ansia di essere perfetta che dalla tentazione dell’infodump, contro la quale l’autrice mi sembra essere già ben vaccinata. Suggerirei anche qualche semplificazione e maggiore attenzione nella scelta dei nomi: un cavallo che si chiama Hal’Yek crea nella mente del lettore un vuoto pneumatico ogni volta che se lo ritrova davanti anziché un’eccitante onomatopea del suo galoppare. Terry Brooks, l’autore di “La spada di Shanarra”, sostiene che la scelta dei nomi sia altrettanto impegnativa della trama stessa, uno sbaglio può costare il successo di un personaggio. Se lo dice lui, c’è da credergli. Aggiungerei, fra le cose da riconsiderare, l’inserire un elenco di luoghi, nomi e personaggi con qualche brevissima indicazione, magari all’inizio del libro, per aiutare ad orientarsi nella complessità della trama.
In un’intervista l’autrice dice di essere cresciuta con Harry Potter e di esserne stata ispirata. Nel mare magnum dei tanti discepoli di J. K. Rowling la sua voce potrebbe essere quella classica “fuori dal coro” e sbocciare in inedite, interessanti tonalità.
Voto: 7.
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